lunedì 28 maggio 2007

Parole come formiche.

Sono acqua che scorre silenziosa nel fiume della vita. Accidenti a me. Sono muta. Perché? Perché non riesco mai a dire ciò che penso? Dentro di me ce le ho tutte le parole che vorrei dire e poi si fermano in gola, raschiano un po' e vanno a fare compagnia alle tante altre accumulate negli anni. Parole che avrei dovuto dire. Parole che avrei dovuto urlare. E poi quelle maledette parole che avrei dovuto tacere, quelle che invece sono venute fuori inopportune come formiche dalla zuccheriera di porcellana.

domenica 13 maggio 2007

Cinque motivi

Pur non essendo una accanita scrittrice il mio blog mi piace e mi piace leggere i blog altrui. Ho trovato in giro una "catena" che mi piace: i cinque motivi per avere un blog.
I miei cinque motivi:
  1. Condividere alcuni pensieri che resterebbero chiusi nella mia testa.
  2. Capire gli altri o almeno provarci.
  3. Constatare che non siamo soli ad avere problemi.
  4. Poter esprimere la propria opinione.
  5. Divertirsi.

Chiunque passi di qui può ritenersi nominato se ne ha voglia.

Sono in ritardo per gli incipit?

Forse è già tardi ma li ho scritti e li posto. I miei cinque incipit su "incarico" di Angelo.
Cesare Zavattini – Parliamo tanto di me.
La notte del 17 gennaio 1930 leggevo un romanzo d’amore. Il fuoco crepitava nel camino. Coricato nel soffice letto, interrompevo ogni tanto la lettura per ascoltare i sibili del vento fra gli alberi della foresta. I vetri tersi della finestra lasciavano scorgere il cielo pallido e due alberi, sulla collina, ornati di neve. Guardai il pendolo: segnava le due. Spensi la luce, mi rannicchiai sotto le coltri. “Dormiamo” dissi. Trascorsero venti, trenta minuti: mi accori che avevo gli occhi aperti. Un’ora dopo ero ancora incantato a guardare le stelle che alcune nubi venute dal mare a poco a poco coprivano. Stavo meditando sulla mia insonnia, quando le nubi si sciolsero in una pigoggia fine e lenta. Voltai fianco e decisi fermamente di dormire. A un tratto, quasi mi ero appisolato, strani rumori e fruscii colpironono le mie orecchie. “Saranno gli spiriti” pensai. Piano pianino sollevato il capo, guadai intorno. La stanza era rischiarata dal bagliore degli ultimi tizzi. Non mi ero ingannato. Vidi le loro diafane forme simili a veli fluttuare tra i mobili, confondersi nel fumo del camino, indugiare davanti allo specchio. Invece di accendere la luce, restai fermo e finsi di russare.

Banana Yoshimoto – Sonno profondo.
Da quanto tempo sarà che quando sono da sola dormo in questo modo?
Il sonno viene come l’avanzare della marea. Opporsi è impossibile. È un sonno così profondo che né lo squillo del telefono né il rumore delle auto che passano fuori mi arrivano all’orecchio. Nessun dolere, nessuna tristezza laggiù: solo il mondo del sonno dove precipito con un tonfo.
È soltanto nel momento in cui riapro gli occhi che mi sento un po’ triste. Alzo lo sguardo verso il cielo rannuvolato e mi rendo conto di aver dormito molto a lungo. Ancora un po’ intontita penso: non avevo la minima intenzione di dormire, e invece ho perso tutta la giornata… E a un tratto, in quel pesante rammarico così vicino alla vergogna, mi si gela il sangue.

Banana Yoshimoto – Ricordi di un vicolo cieco (La casa dei fantasmi).
“Perché invece non vieni a mangiare da me, Setchan? Io avrei voglia di nabe, ma prepararlo a casa da soli non c’è gusto.”
Io avevo detto semplicemente:
“Per ringraziarti del tuo aiuto al lavoro, con i soldi della paga vorrei invitarti a mangiare.”
E quella era stata la rispsta di Iwakura.
Ero indecisa. Se un ragazzo che vive da solo ti fa una proposta del genere, come interpretarla?
Però, conoscendolo, nel suo invito non dovrebbero esserci secondi fini, pensai, e in più casa sua dovrebbe essere proprio dalle mie parti.
A ogni modo lo aveva detto con un’espressione innocente, e un tono di noncuranza, e anche il battito del mio cuore non aveva subito nessuna accelerazione.
Vi era in lui qualcosa di indefinibile, come un cielo nuvoloso nel cuore dell’inverno, a metà tra allegria e cupezza, che in qualche modo mi tratteneva dall’innamorarmi di lui. non riuscivo a percepire quell’energia e quell’esaltazione che ti danno una carica straordinaria, così importanti negli amori giovanili.

Arthur Schopenhauer – L’arte di insultare.
Le abbreviazioni: lo studium brevitatis arriva al punto di tagliare la coda al diavolo e scriver Mefisto anziché Mefistofele.
L’abolizione del latino: l’abolizione del latino come lingua dotta universale e l’introduzione al suo posto dello spirito borghese delle letterature nazionali sono state per le scienze in Europa un vero disastro.
L’abolizione della pena di morte: a coloro che vorrebbero abolirla, bisogna rispondere: “Abolite prima l’omicidio dal mondo: poi potrete abolire anche la pena di morte”.
L’Accademia Danese: se lo scopo delle accademie fosse quello di reprimere, per quanto possibile, la verità, di soffocare con tutte le forze l’ingegno e il talento e di conservare intatta la fama dei millantatori e dei ciarlatani, la nostra Accademia Danese questa volta vi avrebbe corrisposto in modo davvero egregio.

Arthur Schopenhauer – L’arte di farsi rispettare.
L’onore è un sentimento che, sorgendo dal profondo e con frequenza quotidiana, è a tutti ben noto e assai familiare. Ma alle persone in qualche misura inclini e portate al pensiero astratto potrebbe essere gradito fissarlo e riconsiderarlo una buona volta in concetti chiari nello specchio neutro della riflessione. In questa guisa, a causa della metamorfosi subita e malgrado la sua familiarità, l’oggetto di studio viene sì privato dello stimolo della novità, ma se ne ha il ben più solido vantaggio che in virtù di tale trasformazione risulta facile vedere quanto di siffatto sentimento si fondi sulla natura umana e sulle sue condizioni essenziali, e quanto invece solo su un pregiudizio precocemente assimilato.

Grazie miei amati. Oggi...

...rose nel vaso e primule sul balcone. E un'altro anno sancisce in un sol giorno la festa della mamma. Grazie amatissimi figli per attendere maggio per strappare le spine alle rose e appendere al davanzale la corona del rosario. Grazie perchè io vi amo e questo basta.

mercoledì 2 maggio 2007

Non ho avuto il coraggio...

Innanzitutto vi ringrazio per tutti i commenti che mi avete lasciato. Non ci sono ancora abituata al Blog e mi dimentico che l'ho creato...
Ci sono andata molto vicino. Sono andata dal mio *capo* e gli ho detto che non ne potevo più, che sono molto stanca, eccetera e lui mi fa: bene, allora forse è il caso che tu stia a casa! Non è il caso che io stia a casa, e lui lo sa, lo sa molto bene, ma sa anche di avere il coltello dalla parte del manico, sa che ci tengo al mio lavoro, sa che sono se non indispensabile almeno molto utile ma non lo ammetterà mai apertamente. Subito dopo ha aggiunto: forse hai solo bisogno di riposarti un po'. Ne avevo bisogno, mi sono riposata un po' e ho fatto il ponte lungo. Volevo costringere la famiglia a una vacanza forzata in Toscana, in un agriturismo, ma gli impegni di tutti, al solito, hanno avuto il sopravvento e così sono rimasta a casa a fare le solite cose, ma con un sapore diverso.
Avete ragione tutti, la fortuna aiuta gli audaci e chi non risica non rosica, ma non sono audace e non ho voglia di rischi. Voglio solo stare tranquilla e mi rendo conto che questa tranquillità non esiste.